Sarà che la famiglia è la stessa, ma la mentalità della Ferrari, che tra l’altro non vince nulla dal 2008 (anno dell’ultimo trionfo tra i costruttori, mentre per quanto riguarda i piloti l’ultima vittoria risale al 2007), continua essere intrinsecamente juventina. E non è certo un pregio, almeno per chi ama lo sport e la competizione più della vittoria. Lo hanno dimostrato le dichiarazioni che hanno fatto seguito alla chiusura di un Mondiale sicuramente deludente, ma che definire da perdenti appare davvero eccessivo.
Non nascondiamoci dietro un dito. Chi tifa Ferrari, o chi comunque ha avuto modo di seguire il Mondiale appena concluso fin dalle prime battute, non potrà che essere deluso per l’epilogo mediocre di una stagione che sembrava promettere grandissime soddisfazioni.
La macchina quest’anno è parsa molto spesso competitiva, i piloti sicuramente bravi e talentuosi, il team unito e pronto all’impresa. Cos’è mancato allora? Sicuramente un pizzico di fortuna, ma anche quel tanto di coraggio che può trasformare una buona stagione in una grande stagione. Resta però il fatto che un secondo posto in un Mondiale non dovrebbe essere bocciato totalmente. I vertici Ferrari hanno invece un’idea diversa, e in questi giorni hanno voluto affossare tutto, senza se e senza ma, probabilmente per rimarcare le responsabilità dell’unica persona che pagherà davvero le conseguenze per l’epilogo stagionale.
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Chi pagherà le spese per quanto successo sarà Mattia Binotto, pronto a lasciare il posto di team principal, come probabilmente è giusto che sia. In questo campionato ha infatti grandi responsabilità, e i suoi errori in alcune gare sono costati punti preziosi. Da qui a pensare che la colpa del “fallimento” sia stata tutta sua, solamente sua, però ce ne passa.
Che sia per voler sottolineare le responsabilità di Binotto, o che sia invece per rimarcare quanto in Ferrari continuino a pensare solo alla vittoria come unico risultato, in questi giorni a parlare della stagione appena conclusa è stato l’ad Benedetto Vigna. Pacato ma diretto, come nel suo stile, ai microfoni di Class CNBC ha mostrato tutta la sua delusione, rimarcando quanto sia grande il fallimento per il team, con parole che però non hanno nulla a che vedere con il concetto decoubertiniano di sport.
“Non sono soddisfatto del secondo posto, anche perché il secondo è il primo dei perdenti“, ha sentenziato Vigna. Parole che lasciano davvero perplessi. Non tanto per la prima parte della dichiarazione: l’insoddisfazione è naturale e accettabile. Ma la seconda, con quel cliché del primo dei perdenti che sa tanto di mentalità arcaica, non può andare giù a chi si gode lo sport come una sana e onesta competizione, in cui alla fine, solitamente, solo uno vince, mentre tutti gli altri sono chiamati ad accontentarsi del divertimento che nasce dalla partecipazione.
Una lezione che, se non viene accettata da chi ricopre i ruoli di vertice di aziende così importanti, difficilmente potrà essere impartita ai più giovani, costretti così a vivere una vita di perenne insoddisfazione. Perché, ed è bene che tutti ne prendano atto: nella vita, e soprattutto nello sport, saranno sempre più gli insuccessi delle vittorie. O almeno delle vittorie oneste.
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