Josip Ilicic, attaccante dell’Atalanta, ha parlato nel corso di un’intervista concessa al Corriere dello Sport:
L’ex Palermo è rimasto ai box in seguito ad un’infezione batterica ai linfonodi del collo. Il trequartista dell’Atalanta si è ripreso il posto da titolare. Tuttavia il calciatore non ha vissuto bei momenti.
«Il pensiero di Astori mi ha fatto passare momenti difficile e complicati. Ho temur di morire. È stata una tragedia terribile che non mi permetteva di dormire. E quando sono stato male io, ho avuto paura che mi potesse succedere qualcosa di simile. Pensavo: “E se domani mattina non mi sveglio? Come farò a non vedere più la mia famiglia?”. C’è stato un periodo in cui avevo paura di andare a letto e addormentarmi. Il calcio non è tutto nella vita, l’ho capito sulla mia pelle.
Ora tutto è diverso, vivo ogni minuto e ogni secondo che ho a disposizione con la mia famiglia. Per me conta stare con le mie due bimbe, con mia moglie e con mia mamma perché la vita è breve e bisogna godersi le persone alle quali vuoi bene. Faccio il mio lavoro qui al campo, ma poi torno subito a casa e voglio sempre i miei cari accanto a me».
Fisicamente come sta?
«Sono molto stanco (sorride perché ha appena finito l’allenamento, ndr). Sto bene, sto bene e questa è la cosa più importante. Mi mancava star bene».
Se ora ripensa al periodo della malattia, qual è la prima cosa che le viene in mente?
«Che è stato un episodio molto grave dal quale però sono uscito vincitore. Mi ha permesso di capire che nella vita l’unica cosa che conta è star bene. Raccontare quello che è successo, e che per fortuna adesso è alle spalle, non è facile: è stato qualcosa di brutto per me e la mia famiglia».
Ha pensato anche di lasciare il calcio o ha temuto che non avrebbe più potuto giocare?
«La malatta non spariva, non ce la facevo più. Più passata il tempo e più peggiorava. È stato allora che ho smesso di pensare al mio lavoro e di guardare le partite di calcio in tv. Avevo un chiodo fisso in testa: salvarmi e stare con la mia famiglia. A un certo punto mi sarebbe bastato anche solo poter tornare a camminare e a correre come una persona normale, non come un giocatore. E invece piano piano ne sono uscito del tutto».
Temeva che sarebbe potuta finire diversamente?
«Ci sono state persone che hanno avuto il mio stesso problema e sono finite in coma. A me l’infezione è rimasta circoscritta ai linfonodi del collo, mentre a loro si è diffusa in altre parti del corpo. Se penso a loro…».
Quando ha capito di essere guarito?
«Quando mi è tornata la voglia di riprendere a giocare. Mi sentivo meglio e avevo il desiderio di tornare alla normalità, a correre dietro un pallone. Per anni quella è stata la mia priorità, mentre adesso…».
Quanto giocherà ancora?
«Fino a 50 anni o comunque finché ce la farò».
Ha rivisto i medici dell’ospedale che l’hanno curata?
«Sì e li ho ringraziati. C’erano persone in quelle settimane che lavoravano solo per me, che ci tenevano tanto a farmi guarire. È stato bello capire che dottori e infermieri davano più di quello che potevano per risolvere i miei problemi di salute. Tornare in campo è stata dura sono ripartito da zero anzi da sotto zero. E per arrivare a zero è stata molto lunga… Per fare certe cose dovevo sforzarmi e il mio corpo doveva riabituarsi a tutto. È stato un periodo molto lungo, nel quale mi sentivo a pezzi tutti i giorni. E spesso facevo… doppio allenamento ma fa nulla, a casa avevo due bimbe ad aspettarmi».
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